Il ruolo dei giochi educativi nello sviluppo delle funzioni cognitive

Pubblicato da Luigi Di Maio il

Il ruolo dei giochi educativi nello sviluppo delle funzioni cognitive

Chi ha mai detto che il gioco sia uno scherzo?

L’attività del gioco rappresenta per l’uomo la sua prima forma di conoscenza del mondo attraverso il corpo, i sensi e l’intelletto. Si può affermare con certezza che giocare è il primo approccio relazionale del piccolo a ciò che lo circonda, ma serve anche per auto-identificarsi e differenziarsi rispetto agli oggetti che vede, tocca e mordicchia.

Di più. Il gioco è un vero e proprio lavoro, che coinvolge il piccolo in ogni suo gesto quotidiano: una carenza di attività ludica denuncia, nel bambino, gravi carenze a livello cognitivo. Come dire che il piccolo non evolve nella crescita psicofisica. Parola di esperto. Perché, secondo gli operatori medici dell'ospedale pediatrico “Bambino Gesù” di Roma, "con l’attività ludica il cervello del bambino si evolve e accresce la propria complessità. Per questo è necessario proporre il gioco giusto all'età giusta. A cominciare dalla vicinanza con il corpo di mamma e papà, prima palestra per l’allenamento dei sensi del piccolo; puntando molto sulla lettura, fondamentale per il processo di crescita e con un dosaggio oculato di tablet e videogiochi”.

Genitori a due velocità di gioco: mamme in pole position

Secondo l’Indagine Multiscopo “Aspetti della vita quotidiana”, condotta in forma congiunta tra l’Istituto nazionale di statistica e il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, il 72,8% dei bambini e delle bambine dai 3 ai 6 anni gioca con le madri tutti i giorni. I papà, invece, sono presenti nei giochi infantili con una frequenza ben più bassa: il 46,1%. Un primato, quello nella sfera ludico-ricreativa, che si giustifica col fatto che nel periodo dell’infanzia dei figli la madre è maggiormente coinvolta nella pratiche di cura o di sorveglianza (preparare la pappa, vestire e cambiare i bimbi, pensare alla nanna). Invece il lavoro di cura dei padri si esplicita per lo più in attività ludiche o di semplice interazione sociale con i figli.

Papà e figlio giocano con il Lego

Le funzioni del gioco

Il gioco, dunque, è la via necessaria per stimolare:

  • memoria
  • attenzione
  • concentrazione
  • sviluppo di schemi percettivi e capacità di confronto
  • relazioni con i genitori, in primis, e con i propri coetanei, dopo

Ma cosa significa il gioco per il bambino? Il gioco è un’attività totalizzante, che riesce sia a intrattenere che far conoscere. In particolare, il gioco rappresenta una forma di:

  • divertimento
  • esplorazione del mondo, avventura e scoperta di sé
  • esercizio delle proprie capacità individuali (fisiche e mentali)
  • occasione di apprendimento
  • attività liberatoria di tensioni nervose, scarica di emozioni forti come paura, rabbia, ansia e gioia.

Lo psicologo e pedagogista Jean Piaget, agli inizi del secolo scorso, ha elaborato i quattro stadi dello sviluppo cognitivo del bambino attraverso le varie fasi di gioco, distinguendo anche le tipologie dei giochi stessi in base alle fasce d’età.

  1. Giochi di esercizio (0-24 mesi). Nella fase cosiddetta "senso-motoria", il bambino, attraverso l'afferrare, il dondolare, il portare alla bocca gli oggetti, l'aprire e chiudere le mani o gli occhi, impara a controllare i movimenti e a coordinare i gesti. I giochi di esercizio consistono perciò in azioni semplici e nella ripetizione di gesti: scuotere un sonaglio, battere le mani, mettere e togliere un oggetto dalla bocca.
  2. Giochi simbolici (2-7 anni). È il periodo del “far finta che”. Il bambino fa finta di effettuare una delle sue azioni usuali come posare la testa sul cuscino e chiudere gli occhi come se dormisse. Oppure applica a oggetti nuovi schemi simbolici acquisti, come utilizzare una conchiglia come una tazza, un cubo come un’automobile. O ancora, finge di fare qualcosa che gli è stato proibito, oppure ripete usando una bambola una situazione spiacevole o paurosa. Alcuni esempi di giochi simbolici, mutuati dal grande esempio di Maria Montessori, sono la riproduzione simbolica di un supermercato, di una lavanderia, del banco del falegname o del carrello delle pulizie.
  3. Giochi di regole (7-11 anni). Verso i 7 anni comincia a esserci un certo ordine strutturale anche nei giochi, che ora caratterizzano la socializzazione del bambino e dimostrano l'importanza delle relazioni e del codice sociale. Giochi come nascondino, ma anche dama, scacchi, giochi di carte, o la riproduzione di situazioni tipo, come “facciamo che io sono il maestro e voi gli allievi”, rappresentano una maggiore aderenza alla realtà e ai ruoli sociali.
  4. Stadio operatorio-formale (dagli 11 anni in poi). A partire dagli 11 anni il bambino riesce a formulare pensieri astratti: si tratta del cosiddetto pensiero “ipotetico-deduttivo”, che consente di compiere operazioni logiche su premesse puramente ipotetiche e di ricavarne le conseguenze appropriate. Da quel momento in poi, si parla di preadolescenza, fase durante la quale il ragazzino va cercando la propria identità.

Per ogni fase c’è il gioco giusto: ecco come orientarsi nel primo anno di vita del tuo piccolo.

 

Serena Costa


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